Ida Tonini: “Un padre, un marito, un artista”

Ferrante Gorian, storia di un artista giardiniere dimenticato
L’intervento di Ida Tonini durante l’evento per il centenario della nascita di Ferrante Gorian il 14 aprile ai Vivai Priola (Treviso).

Sosteneva Russell Page, dei paesaggisti il guru, che “per creare uno spazio verde davvero bello occorrono un appassionato committente, un esperto architetto e un umile giardiniere.” Dimenticava però un’altra verità, che la fama di un artefice di giardini è strettamente proporzionata all’alto lignaggio della committenza. Ottimi artefici di giardini, capaci di un’accurata progettazione del verde, fondata non solo sull’indispensabile padronanza botanica, ma anche su una profonda conoscenza dell’arte giardiniera, sono per questo rimasti  nell’ ombra, nascosti tra le pieghe della fama.

E’ il caso di Ferrante Gorian, nato a Gorizia ne 1913 e morto a Treviso, nel 1995 nel pieno della sua  attività all’età di 82 anni. Oggi siamo tutti qui, invitati da Priola per fare luce sulla sua importante figura di artista, di marito, di padre.

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Sono qui a parlarvi di questo maestro giardiniere grazie a Pier Luigi che  mi ha fatto entrare nei giardini firmati Gorian. Senza supponenza, ma con il garbo di un Virgilio contemporaneo, mi  ha  segnalato l’originalità, la sapienza, l’abilità del maestro di disporre come in un palinsesto musicale tutte le possibili cromie dei verdi, dipingendo arazzi di verzura soprattutto ai margini dei suoi giardini per  proteggerli e isolarli dalla città diffusa intorno, in continua e sgradevole crescita.

Con  vivacità di spirito, con  eleganza ricca di humour e con quel tocco di poesia, che lo distingue, Priola mi ha descritto l’uomo e l’artista in modo da farmelo quasi vedere: alto, elegante dallo sguardo fiero, quello sguardo da alpino che scruta lontano, lavorare in quei giardini, modellare lo spazio dilatandolo con efficace capacità prospettica, educare i clienti più con le azioni che con le parole, sovrintendere alla piantumazione di essenze arboree e arbustive, scelte con cognizione di causa tra le tante possibili, non solo per le cromie del fogliame, ma anche prevedendo il loro sviluppo morfologico. Asciutto nella figura e nei modi, mi si dice,   consapevole del suo profondo sapere, eppure sempre desideroso di approfondire, studiare, cercare e nel contempo generoso e prodigo nel mettere a disposizione le sue conoscenze a chi si dimostrava veramente interessato.

Si sostiene che dietro un ottimo vivaista,  esista la figura di un  giardinista, come si autodefiniva Gorian, con  una preparazione botanico-agricola-paesaggistica di altissima qualità. Lavinia Taverna, autrice di un giardino ‘mediterraneo’, noto in tutta Europa, ha stimolato e fatto crescere Mario Margheriti, Fernando Caruncho si è servito dell’ottimo Mati, che con lui ha attraversato l’oceano, Ferrante Gorian sembra sia stato esigentissimo con Pier Luigi, agli inizi giovane giardiniere ligure arrivato nella Marca Trevigiana a cercar fortuna.  Sostiene Priola che fu proprio il paesaggista goriziano in una continua sfida a cercare essenze non comuni, alberi e arbusti, tappezzanti e rampicanti insoliti, a indirizzarlo nella difficile arte di vivaista  soprattutto di erbacee perenni proposte, diversamente da prima, per colore e non mischiate, secondo una esigenza categorica di Gorian.

Mi è stato chiesto di far luce più che  sull’artista  Ferrante Gorian, su Gorian marito, e padre. Compito non facile perché non ho mai conosciuto personalmente il Nostro, ma in compenso ho avuto la fortuna di incontrare parte della sua magnifica famiglia, che compatta onora padre e marito e, con amore, da sempre cerca di mantenerne viva la memoria affettiva e artistica.

Tutti i quattro figli dell’architetto, Alberto, Fiorenza, Fabio e Giorgia si sono impegnati fin da subito nel riordino di appunti, schizzi e documenti rintracciati nell’archivio familiare e nel cercare ogni informazione possibile altrove a volte seguendo labili tracce. Con tutto questo materiale hanno costruito un sito web www.ferrantegorian.com di estremo interesse.

Oggi il figlio Fabio presenta il libro Ferrante Gorian, paesaggista, Fiorenza,  si è assunta l’impegno di accudire e sostenere la Signora Gorian, la bella signora Albertina Gorian, giorno dopo giorno, con serena sollecitudine. Giorgia, appena tornata dall’Uruguay, dove grazie al ritrovamento fortunoso di un elenco telefonico di Montevideo ha potuto rintracciare brani di giardini progettati dal padre ormai più di mezzo secolo fa, mi ha seguito fin dall’ inizio con affettuosa pressione e colmandomi di gentilezze e di un  dono veramente speciale. Un dono che mi ha permesso di comprendere, tassello dopo tassello, la forte personalità di Gorian.

Se sono qui e posso dirvi qualcosa di più di Ferrante Gorian privato è tutto merito della figlia Giorgia che mi ha di fatto ‘regalato’ l’interessante carteggio Gorian-Porcinai. Un testo fondamentale per  conoscere il pensiero e il carattere non solo di Gorian, ma anche di Pietro Porcinai. Due personalità forti, acute e intelligenti, moderne e visionarie, per molti versi simili, ma totalmente incapaci di condividere lo stesso spazio.  Le lettere rivelano i loro forti contrasti,  la strenua lotta che  da fieri titani, da combattenti intrepidi, si sono fatti sempre. Un po’ capoccioni tutti e due. Si direbbe a Roma. Tra di loro una vera incompatibilità di carattere. Il massimo dell’improperio? L’uno accusa  l’altro di essere egoista. Sono pur sempre uomini dell’Ottocento e nonostante la loro rispettiva aggressività sono capaci di una grande controllo; sostenuti, è certo, da una grandissima stima  reciproca, offrono sempre e comunque l’immagine di grande stile, e di perfetta educazione

Mi auguro che questo carteggio così moderno e attuale, così acuto e intelligente possa essere dato presto alle stampe.

Proprio in alcune lettere a Porcinai Gorian esprime in modo molto chiaro e netto il suo pensiero:

23 gennaio 1962. La lettera presumilmente è stata scritta dopo aver lasciato lo studio di Porcinai, che lo aveva accolto al suo rientro in Italia dall’Uruguay.

…. Perde il tempo chi non sa vivere. Io ‘ho vissuto’e sono stato tanto, tanto felice. Così, proprio come ti scrivo, tanto felice… Nulla può per farmi rinnegare gli anni di soddisfazioni senza limiti che la libertà dell’Uruguay mi ha dato. Paese tanto piccolo, ma che ha tanto da insegnare alla sapiente Italia.

E’ per questo che qualche volta ti sto ad ascoltare a bocca aperta e rileggo senza capire quando parli o scrivi di ‘soddisfazioni’. Quali? Morali, spirituali, artistiche, economiche, finanziarie, famigliari, sociali?

Non capisco o forse capisco troppo, quando dici che bisogna sapere rinunziare al proprio comodo per il bene comune (fama, gloria, ricchezza?) per la libertà individuale.

Rinunciare alla gioia di vivere per sacrificare tutto sull’altare del dio denaro, mangiando per giunta veleno per colpa di Tizio o di Caio, ti dico francamente: NO e grazie di tutto. Il denaro non è tutto, anzi non è niente: si guadagna e si perde, si perde e si guadagna. E’ certo che anche i frati ne hanno bisogno per tirare a campà…. Nemmeno ritengo che per poter organizzarsi in team sia necessario l’autolesionismo della vita privata. Vivere è lavorare con intelligenza, con gioia. La metà delle persone con le quali ho parlato in Italia, non sanno vivere, non sanno lavorare. Corrono dietro ai miraggi, alle ricchezze, sacrificando il loro fisico, il loro tempo, la loro famiglia. Vanno avanti con le iniezioni. Sono macchine, non uomini. Chi glielo fa fare?

Che meravigliosa dichiarazione d’intenti! Che stupefacente visione del mondo del lavoro, degli affetti.

Gorian era un figlio d’arte la sua era una famiglia di vivaisti, floricoltori, fiorai. Il nonno Francesco aveva a Gorizia la ‘fioreria’, punto vendita del vivaio di cui si occuperà il padre, che morirà molto giovane. Ferrante Gorian inizia quindi giovanissimo la sua educazione di giardiniere presso la celebre scuola di Pomologia dell’Istituto Agrario  di Firenze, avendo tra i suoi insegnanti  Pietro Porcinai, di solo tre anni più grande di lui.  La laurea in Architettura del Paesaggio all’Università olandese di Apeldoorn  arriverà  più tardi e dopo molte altre esperienze nel 1957.

Tra Porcinai e Gorian agli inizi si instaura un legame di armonia e stima reciproca tanto che nel 1946 Gorian è con Porcinai a Piazza del Carmine, una vera bottega rinascimentale, dove assoluto e assolutista regna tra tutti il Maestro toscano.

Difficile pensare oggi come quei due giardinieri dalla forte personalità,   belli ed eleganti,  abbiano potuto lavorare sotto lo stesso tetto. Gorian resiste per due anni, consapevole forse del suo bisogno di consolidare e completare le proprie conoscenze  e capacità giardinistiche.

In quegli anni Porcinai, con l’aiuto di Gorian, progetta anche l’organizzazione dell’AIAP (Associazione Italiana Architetti del Paesaggio), realizzata sul modello dell’IFLA (International Federation of Landscape).

Nel 1948 il Nostro coraggiosamente prende il volo e si trasferisce con la famiglia, la Signora … e il piccolo Alberto a Montevideo.  Porta con sé  sementi di fiori e arbusti della sua terra .

In quella terra, all’epoca ritenuta la Svizzera   del Sud America, Gorian fa degli incontri importanti con architetti del calibro di Lucio Costa e Oscar Niemeyer e con paesaggisti quali Roberto Burle Marx, impegnati allora nella realizzazione di Brasilia. Burle Marx, poeta, musicista, scultore, pittore, amico di tutta una vita, ospiterà spesso Gorian nella sua chacra (fattoria) il Sìtio de San Antonio, lussureggiante di piante tropicali. Insieme la strana coppia, ex alpino, alto e slanciato Gorian, rotondetto con baffi spioventi, il  paesaggista brasiliano, s’inoltreranno più d’una volta nella foresta Amazzonica, con lo spirito dei leggendari cacciatori di piante, alla ricerca di specie ornamentali poco diffuse e insolite,  adatte alla creazione dei nuovi giardini d’ispirazione autenticamente brasiliana.

Ma sono i quadri di Lino Dinetto, artista estense, allievo di Carrà,  promotore con un certo successo in Sud America del movimento di rottura il Gruppo degli Otto,  che illuminano Ferrante Gorian sulla via del suo fare giardino. Da quei dipinti, dove i verdi s’inseguono in accordi cromatici mai uguali, Gorian trae ispirazione per studiare le infinite possibilità di combinazione delle piante, le loro associazioni timbriche, il loro sviluppo morfologico e cromatico, la relazione tra pieni e vuoti. Gliene deriva anche  un nuovo modo di guardarsi intorno e una attenzione febbrile e intensa  alla natura del luogo, che  secondo Gorian può essere riprodotta, fatte le debite proporzioni ma  con estrema naturalezza, nel chiuso di un giardino.

Con questo bagaglio originale e innovativo ( sono 140 le ville e i parchi progettati da Gorian in Uruguay),  Ferrante Gorian nel 1961 deve rientrare in Italia a causa della pericolosa situazione politica del paese di adozione. E’ accolto ancora una volta da Pietro Porcinai, ormai trasferito nella sua storica residenza di Villa Rondinelli.

Ancora una volta le due personalità, burbero e severo il primo, burbero, ma più sognatore il più giovane Gorian, non possono collaborare a lungo. Nel frattempo la cifra stilistica dei due paesaggisti si è differenziata notevolmente. Porcinai interpreta in chiave originale e moderna  i canoni mai dimenticati del giardino formale all’italiana: un accordo perfetto tra masse vegetali e strutture architettoniche (sentieri, scale, piscine, garage, terrazze…).

Per Gorian il territorio, l’ambiente, il paesaggio si comportano come un palinsesto, un archivio ricchissimo d’informazioni da scoprire e da elaborare e il suo giardino risulta uno squarcio del paesaggio intorno, che aderisce in modo decisamente naturale alla casa, progettata nel  giardino e non con il giardino, come amava teorizzare.

Inevitabile quindi un secondo allontanamento, ma i due continueranno a scriversi a lungo e a tentare di trovare una strada comune per diffondere la sensibilità del verde in Italia.

In una lettera scritta subito dopo essersi allontanato dallo studio Porcinai di Villa Rondinelli, Gorian tenta di esprimere a chiare lettere quale è il suo modo di pensare il verde per criticare il modus del suo caro Pietro:

Il fatto è che se anche il tuo Studio diventasse il più importante d’Europa e del mondo, come hai già tentato che lo fosse, non risolveresti il problema del verde in Italia. Il mare è grande la tua barca, piccola. E anche se fosse grande la tua nave, non potresti solcare contemporaneamente il mare su diverse rotte, una rotta alla volta e passerebbero i secoli…

La lotta, a mio giudizio, deve essere capillare, ma dove sono dunque i lottatori? Si deve seminare per raccogliere, ma quanti sono i seminatori? Se avessimo 500 architetti paesaggisti in Italia, saremo solo a metà strada..

Io vedo che in 30 anni tu hai lavorato seriamente, ma hai creato la TUA fama. Hai fatto dei lavori rimarchevoli, ma il problema del verde continua in Italia più grave di prima. Daremo la colpa all’individualizzazione egoista degli altri?  28 luglio 1962

E dopo questa stangata si firma Cordialmente tuo.

Le riunioni domenicali -commenta ancora Gorian- non si fanno più per il piacere di scambiarsi quattro idee ma per combinare affari.

A San Domenico ero direttore dei lavori…di carta. Interminabilmente seduto a tavolino. Il  tale lavoro non aveva niente a che fare con l’arte -questo è una dichiarazione fondamentale per capire il disagio di Gorian nei confronti del suo ex datore di lavoro- e aggiunge e per me fondamentalmente romantico, non poteva offrire interesse, né essere un incentivo.

Per Gorian l’idea del Verde e la sua esistenza non dipendeva da esperti, ma da una coscienza collettiva che deve essere risvegliata. Diffondere l’interesse e l’amore per il Verde in Italia, era per il goriziano una vera e propria missione.

Anche Porcinai, sognava di potersi dedicare al verde collettivo, al miglioramento delle città e dell’ambiente e alla protezione del paesaggio, ma avendo più uso di mondo si era lasciato via via conquistare da  una committenza prevalentemente alto borghese che gli assicurava successo, gratificazioni tangibili e assolutamente personali.

Eppure ancora dopo due anni dal secondo allontanamento nel gennaio del 1964 Gorian scrive al Caro Pietro:

Se tu avrai qualche idea pratica da avviare (ne avrei parecchie) e da attuare per muovere questo pesante carrozzone della insensibilità generale  contro i problemi generali del verde in Italia, sono disposto a venire a Firenze o altro posto in uno dei prossimi giorni per trattare la questione. Oppure proponimi tu data e luogo, purché lontano dagli assalti del telefono e dei tuoi dipendenti…

La voce di Pietro Porcinai in risposta alle lettere a volte piuttosto caustiche di Gorian è sempre più controllata, più dosata, sicuramente più distaccata e fredda, con fastidiose stoccate pungenti, ma anche sinceramente rammaricata:

Tu ed io, che dovremmo parlare la stessa lingua, siamo purtroppo molto lontani l’uno dall’altro perché tu ti sei voluto allontanare: ed è un gran peccato.  3 aprile 1964.

Gorian, anticipatore di una profonda consapevolezza ecologica, nell’arco della sua intensa attività, si è spesso opposto con tenacia alla mentalità dei tempi, alla volgarità di certo potere che costruiva e distruggeva senza alcuna attenzione alla natura. Unico forse, dichiara, per esempio, che l’alberatura stradale non è sempre paesaggio, anzi a volte crea una sorta di muraglia che impedisce al guidatore di percepire oltre il meraviglioso mutevole sempre panorama  del Bel Paese. Quindi, là dove la strada fiancheggia dei boschi e in prossimità di certi paesaggi tipici, o lungo il Terraglio con ville e parchi  magnifici, le alberature  possono essere superflue.

Vicino, vicinissimo a quanto espone in anni più recenti il grande paesaggista-filosofo francese Gilles Clèment nel suo Manifesto del Terzo paesaggio (2004). “Tutto quello che si trova ai margini, di un bosco, di una strada, di un fiume,  quegli spazi dismessi e dimenticati sono essi stessi frammenti di paesaggio”, Gorian, denunciando la distruzione della vegetazione spontanea lungo i canali della Feltrina così commenta:  “robinie, olmi, pioppi, ciliegi, susini selvatici, biancospino, noci, carpini, aceri campestri, tutti costituiscono un rifugio per la biodiversità; tutto un mondo di materiale pittoresco, validissimo, insostituibile, cresciuto naturalmente e spontaneamente, che costituiva, esso si, la prima piattaforma per una strada paesaggistica, per un panorama verso il Montello e le Prealpi. Poteva essere un paesaggio dolce e umano…”

Ce ne vorrebbero di uomini come lui ancora oggi. La tensione, la  fermezza, l’ impegno con i quali Gorian si è opposto alla storia, alla mentalità dei tempi, alla volgarità di certo potere sono anticipatrici di quell’irrinunciabile rispetto per il territorio e il paesaggio che ancora oggi stentano ad essere valori primari dell’uomo.

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Significativo nei primi anni Ottanta è il ricupero a parco di 180 ettari dell’area industriale inquinata di San Giuliano, alle porte di Venezia, al quale Gorian aveva profuso tanta e accorata partecipazione. Abbandonato poi a se stesso il parco si sarebbe trasformato negli anni in una landa desolata e oggi, ripiantumato in modo maldestro e dispendioso, offre ai viaggiatori una visione straniante e desolata, benché distribuito ormai su 700 ettari.

Pur limitato da un contesto molto meno vasto e meno vergine di quello uruguaiano (numerosi insediamenti agricoli, territorio frammentario, città diffusa, flora locale impoverita), Ferrante Gorian, spronato da un profondo senso etico del paesaggio e da una appassionata ossessione, progetta  giardini privati,  parchi pubblici, riqualifica tratti di strade, bonifica e risistema a verde  aree degradate. Lavora non solo in Veneto, ma anche e molto nella sua terra d’origine, in Friuli e Venezia Giulia e ancora in Piemonte, in Brianza e Svizzera.

Sono numerosi i giardini privati realizzati da Ferrante Gorian e alcuni di essi, soprattutto  nella Marca Trevigiana, sono visitabili e mantengono intatta la peculiarità del suo inconfondibile stile.

Superati i cancelli si è colpiti dalla particolare morbidezza e fluidità dell’impianto. Gli angoli non sono retti ma smussati sempre da presenze arbustive che creano l’illusione di una dilatazione dello spazio. I sentieri in pietra locale sono in parte inghiottiti da prati o da essenze striscianti tra filari e siepi rubati alla campagna, i ruscelli rimbalzano tra rocce ricuperate poco lontano, gli specchi d’acqua, altra presenza ineludibile, entrano anche nelle case con il loro sofisticato bagaglio di piante anfibie e acquatiche. Perfino i tronchi, unico segno grafico, appaiono ritmati in modo da creare battute e pause diverse. Pietra, acqua, terra, vegetazione si armonizzano e si congiungono discretamente con le architetture presenti, realizzando un inserimento  del verde, profondo e ben calibrato.  Il tutto racchiuso tra  quinte arboree e arbustive  composte con leggerezza e incantevole vaporosità, un’ossatura quasi trasparente che attrae  il  visitatore come una selva familiare, accessibile, affatto terrifica, ricca di contrasti ombra e luce e di felici vibrazioni cromatiche, mutevoli in ogni stagione dell’anno.

Proprio le trame dei suoi schermi vegetali, pensati per occultare il traffico e il cemento,  connotano più d’ogni altro cosa l’opera di Gorian: corbezzoli,  betulle a ceppaia, vari tipi di aceri, faggi e querce, ciliegi da fiore e da frutto, e quando ci vuole un tocco più suggestivo, la Callicarpa giraldiana, che genera una cascata di macchie color viola intenso in autunno.  Ferrante Gorian “tira dentro il paesaggio”, quello stesso che si può intravedere oltre la siepe fino ai profili montani tanto spesso riprodotto da Giorgione o da Cima da Conegliano, pittori della Marca Trevigiana. Che siano piccoli eden privati o grandi parchi, restituiscono tutti lo stesso incanto, la stessa capacità di avvolgere il visitatore in un abbraccio intimo, morbido, dolce, naturale.

Così avviene nell’immenso parco privato di Ca’ Morelli a Biancade (Treviso), suo ultimo lavoro dove la natura è ricreata con quinte di rigogliose melie (Melia azederach) e carpini piramidali (Carpinus bet. “Pyramidalis). All’interno, lo spazio giocato in modo da creare diverse e mai uguale prospettive. ospita piante autoctone e non, accostate ad un’infinita varietà di rose sarmentose antiche, previste nel progetto di Gorian e scelte con accurata perizia da Anna Peyron.  Ritroviamo lo stesso incanto anche in un minuscolo giardino veneziano, godibile  da un ponte su uno dei rii assolati di Dorsoduro, composto da  pochi elementi: la pietra d’Istria della vera da pozzo, il ferro battuto di una pergola drappeggiata da una rosa antica, il sentiero amebizzato da  piante erbacee perenni da fiore e da fogliame.   Questo esercizio di stile riuscitissimo  può essere paragonato all’idea giapponese di ricreare la natura, l’infinito nel finito, ma nei risultati riesce soprattutto a restituire la poesia e l’atmosfera quieta e delicata di un giardino tipicamente  veneziano.

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